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MALA TEMPORA CURRUNT SED PEIORA PARANTUR!

malatemporaQuesta espressione latina sintetizza egregiamente l’attuale condizione della nostra Categoria (e del Mondo): “viviamo brutti tempi ma se ne preparano di peggiori”.

E’ sufficiente aprire qualunque giornale per rendersi conto di ciò che accade intorno a noi. Guerre (vere e del gas) comprese!

E, poi, ci sono le elezioni che, come al solito, congelano qualsiasi dibattito politico sul futuro, trasformando argomenti che sarebbero seri, in propaganda, alla quale manca il “dono” di individuare “risposte di sistema”.

Per quelle c’è tempo: si vedrà dopo! Forse?

Intanto il prezzo del gas continua a crescere come quello dell’elettricità e fioccano le ricette: tetto ai prezzi, bonus a famiglie ed imprese, tassazione degli extraprofitti delle aziende energetiche e, via improvvisando (ma la Spagna si è mossa prima e molto meglio di noi).

Sarebbe comodo unirsi al coro, prendersela con il destino “cinico e baro” che dopo la pandemia ci ha riservato anche la ripresa, nel cuore d’Europa, delle attività militari. Della guerra nella quale, incontestabilmente ed a scanso di equivoci, c’è un Paese aggressore -la Russia- ed un Paese aggredito -l’Ucraina- (senza aver la pretesa di indagare sulle cause storiche che hanno generato il conflitto o sul fallimento della diplomazia).

Appunto, la guerra che, giorno dopo giorno, sanzione dopo sanzione, è diventata una guerra anche economica nella quale, a farla da padrone, sono il prezzo del gas e quello dell’elettricità intimamente legati (per una scelta suicida fatta dalla UE nel 2010).

Dobbiamo, però essere laici e dire al popolo italiano ed europeo che prima del “ricatto” della Russia (e prima dell’inasprimento delle sanzioni) i flussi del gas dalla Russia -oggi significativamente ridotti (ma economicamente più vantaggiosi per Putin) - erano pressoché invariati.

Ed allora i prezzi alti sono il risultato delle azioni militari (ingiustificate ed ingiustificabili) della Russia? Sì! Ma solo in parte!

E, se magari la smettessimo di raccontare, come sedicenti esperti fanno, che nel Mondo c’è penuria di questa vitale materia prima, faremmo una cosa “buona e giusta”.

Il vero nodo sono i prezzi e, come sempre accade nelle situazioni di confusione (e di guerra), sono gli speculatori che approfittano della situazione.

Oggi i cittadini italiani (ed europei) pagano il gas non per il suo valore intrinseco come discendente dai contratti a lungo termine (con gli aggiustamenti previsti) ma per quello definito dopo la “riforma” del sistema (intorno al 2010), dalla “borsa di Amsterdam”. Tale “Borsa” tratta poche centinaia di milioni di mc di gas ma determina l’allineamento dei prezzi -anche dei contratti a lungo termine- a quello degli “scambi spot” registrati, appunto dal
TTF (la borsa di cui sopra).

Inutile dire che la “Borsa” è saldamente nelle mani dei governi olandese e norvegese (Norvegia che neppure aderisce all’UE) con una partecipazione significativa dei tedeschi che non intendono demordere.

Ecco perché l’Europa non riesce a decidere sul “price cap” proposto da Draghi. Ecco perché paghiamo il gas il doppio (o il triplo) di quanto potremmo pagarlo. Ecco perché si generano quegli extraprofitti per i quali il Governo ha chiesto (almeno di parte di questi), una tassazione straordinaria (contro la quale è in corso un ricorso al TAR del Lazio).

Sembra assurdo che a causa di un meccanismo perverso le Aziende -piccole e grandi- sono in procinto di chiudere; che le famiglie saranno costrette a ridurre i consumi (drasticamente) proprio a ridosso della stagione invernale; che la ripresa economica sarà abortita; che l’inflazione continuerà a galoppare sfrenatamente. Non c’è alcun intervento palliativo che possa arrestare questa emorragia.

C’è anche chi ipotizza scostamenti di bilancio o interventi che arrivano anche a 30/40 miliardi/anno a carico dello Stato per sostenere “la festa degli speculatori”.

A noi tutto questo sembra una follia!Forse una strada più semplice e meno costosa sarebbe riformare drasticamente il meccanismo che ha portato alla nascita del TTF, sganciare il prezzo dell’energia elettrica da quello del gas (solo per la memoria collettiva, considerato “combustibile sostitutivo” e, per ciò, legato all’andamento del prezzo del petrolio) e fare in modo che gli Stati (l’Europa) possano finalmente ed in autonomia definire un meccanismo di prezzi che tenga conto tanto dei “contratti a lungo termine” quanto -per il valore e l’incidenza che hanno- delle quantità “spot”.

Quantità, però, effettivamente transatte e non solo cedute sulla carta (come avviene per il petrolio).

Sembra almeno assurdo che il prezzo di quantità irrisorie (se paragonate ai consumi totali) possa determinare il prezzo di tutto il fabbisogno.Lungo questa direzione, l’Italia potrebbe procedere anche da sola, abbandonando l’utilizzo del prezzo di riferimento (benchmark) stabilito dalla Borsa di Amsterdam.

E, l’eni, potrebbe svolgere, in questo contesto, un ruolo essenziale.

Quindi meno stupore, meno ricerca cervellotica di soluzioni arzigogolate e più realismo. Politico ed economico perché in discussione c’è il futuro del nostro Paese e, addirittura, dell’Europa (ma di questo olandesi, norvegesi e tedeschi che incamerano gli extraprofitti) sembrano non rendersene conto privilegiando la logica del profitto immediato adiscapito del futuro e delle prossime generazioni!

La stessa situazione, con più o meno variabili, è quella relativa al prezzo del petrolio.Anche per questo prodotto -così essenziale anche se c’è una certa ritrosia ad ammetterlo- valgono le stesse considerazioni fatte per il gas e per la borsa di Amsterdam: basta sostituire i nomi e, voilà, il gioco è fatto.

Come tutti sanno nel nostro settore il prezzo con il quale il Paese si confronta tutti i giorni (per le medie bisogna invece aspettare una settimana) è quello definito dal Platt’s che, sia chiaro, non è un organismo internazionale terzo ma una piattaforma gestita da una rivista (che per la verità nel settore -e non solo- è leader in tutto il mondo).

Tale piattaforma registra (o dovrebbe registrare) la quotazione dei greggi; i prezzi pagati per il petrolio o i prodotti finiti nelle varie aree geografiche del Mondo; la valutazione anche sui “futures” trattati alla borsa di New York (che come è noto scambia milioni di barili/giorno sulla carta anche se pochi di questi passano realmente di mano). Ma, intanto, influenzano il prezzo che, indirettamente i consumatori pagano.

In sostanza -ma solo dal punto di vista teorico- tale piattaforma dovrebbe essere destinataria (?) di tutti gli scambi che intervengono fra “privati” per approntare un prezzo di riferimento.

In altre parole se qualche operatore riuscisse ad acquistare sul mercato una “nave” di prodotto finito (o di oil greggio) ad un prezzo -come dire- sotto la quotazione Platt’s, che interesse avrebbe a comunicare la transazione stessa alla “Piattaforma”?

Ciò vale anche nel caso contrario per dimostrare che nel “petrolio” si fanno “pochi affari” anche se pullulano trader, intermediari, offerte last minute proveniente da questa o quella nazione, da questo o quel cadetto di questa o quella famiglia reale.

Eppure non sembra che i grandi colossi del petrolio (a cominciare dalla Exxon-Mobil di Rockefeller) vivano nella ristrettezza (basta guardare gli ultimi bilanci!)Insomma, per dire, anche nel mondo del petrolio esiste, nella formazione del prezzo un “riferimento” che definire “opaco” è il minimo.

Che fare? Forse sarebbe il caso che l’energia tornasse ad essere al centro di una seria riflessione politica (magari con l’istituzione di un ministero ad hoc) e determinasse l’agenda di governo.

Come è accaduto per la sanità: non sempre per accorgersi della gravità dei problemi è necessario aspettare una pandemia.

Altro che pettegolezzi da campagna elettorale!

Le scelte vanno fatte ora ed i cittadini devono saperlo. Anche per votare informati 


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