L'evoluzione del "nostro Sindacato", della categoria, dei Gestori, del settore attraverso quasi mezzo secolo di storia.
LA CISL “ACCOGLIE” I BENZINAI.
IL DIFFICILE AVVIO DELLA PRIMA STAGIONE DI “CONTRATTAZIONE”.
IL CONTESTO “GLOBALE” TRAVOLGE IL SETTORE.
I PETROLIERI IMPARANO AD USARE LE “GONNE” DELL’ANTITRUST.
I PARADOSSI LETALI PER IL SETTORE.
IL MERCATO DEI CARBURANTI DIVENTA UNA “CITTA’ APERTA”.
SINDACATO E CATEGORIA MESSI NEL MIRINO.
LA CATEGORIA INVITA IL SETTORE ALL’“AUTORIFORMA”.
LA FEGICA BARRIERA DA ABBATTERE PER ARRIVARE AI GESTORI.
E’ passato molto tempo da quando, alla fine degli anni '60, una serie di Sindacati Provinciali aderenti a Figisc Confcommercio (tra cui Si.G.I.S.C. nel Lazio, S.A.G.I.S.C. in Piemonte, S.A.V.I.C. in Valle d'Aosta, A.M.G.I.S.C. nella Marsica, ecc.) decisero di lasciare la “casa madre” e formare un Coordinamento per provare a dare corpo e contenuti al concetto di categoria, allora poco più che abbozzato.
E’ proprio da quella pioneristica esperienza che, per successive evoluzioni storiche, discenderà la FEGICA.
Erano anni, quelli, in cui essere Gestore risultava particolarmente difficile. Gli impianti dovevano essere aperti “non dopo le ore 6” e chiusi “non prima delle ore 24”: 18 ore al giorno di lavoro -senza interruzioni- per 365 giorni l'anno. Niente chiusure, niente ferie, niente riposi domenicali. E, soprattutto, niente diritti né tutele: i contratti, se e quando venivano firmati, duravano sei mesi se andava bene. Ma non di rado ne venivano fatti di 30 giorni.
Il Coordinamento di quei Sindacati, insieme alla neocostituita Faib -territorialmente collocata, nella sostanza, a Modena- iniziò a "dare battaglia": i mugugni di una categoria senza diritti cominciarono a trasformarsi in vera e propria ribellione.
Furono gli scioperi "selvaggi", effettuati anche senza preavviso, le assemblee permanenti sugli impianti, l'opera di appassionato convincimento svolta verso i Gestori, che non erano abituati a pensare come insieme, che tramutò i 42.000 singoli "pompisti" di quegli anni in una categoria con una forte coscienza di sé.
Quegli eventi "convinsero" in qualche modo anche la riluttante Figisc (presieduta allora da Roberto D'Andrea) a unirsi alle iniziative che avrebbero cambiato il volto della distribuzione dei carburanti in Italia.
Eventi che comportarono persino una quarantina di arresti di gestori e dirigenti del neonato movimento -da cui nacque il C.I.N.B. (Comitato Intersindacale Nazionale Benzinai)- accusati di indicibili nefandezze, ma in seguito assolti per non aver commesso il fatto, oltreché per aver agito esercitando un Diritto Costituzionale.
Da quelle aspre lotte presero vita due provvedimenti destinati a rivoluzionare le condizioni allora esistenti e a segnare la storia dei decenni a seguire: il Decreto Legge 26 ottobre 1970, n.745 -che, con successive modificazioni, divenne la Legge 1034/70- e l'avvio di un processo che avrebbe portato, nel 1973, alla creazione delle fasce CIP. A dare l’idea di quale fosse l’oggetto del contendere in quegli anni, basterebbe ricordare che i Gestori dovettero battersi per ottenere dal Ministro dell'Industria del tempo, Mario Tanassi, l’aumento di 1 lira al litro del margine che mediamente era di 4,20 L/lt.
Ad ogni modo, soprattutto la Legge 1034/70 ebbe lo straordinario merito di tradurre in una norma cogente e in diritti codificati una lunga serie di rivendicazioni che attendevano di essere riconosciute da quando, nel 1934, da dipendenti delle compagnie i Gestori erano diventati soggetti "autonomi": blocco delle concessioni per nuovi impianti; affidamento in uso gratuito di tutte le attrezzature; contratti almeno di nove anni; due settimane consecutive di ferie all’anno; diritto a seguire l'impianto se trasferito in una nuova posizione; diritto dei familiari del gestore, in caso di morte o di invalidità grave, a continuare nella gestione.
Dopo questi successi straordinari che avevano cambiato il corso della storia e i destini della categoria, prima la Figisc e poi la Faib decisero di uscire dal CINB per riappropriarsi del loro ruolo all'interno delle rispettive Confederazioni. Inutili i tentativi di ricomposizione operati in quegli anni: ciascuno prese la sua strada ed interpretò il ruolo secondo la sua particolare visione del mondo.
L’ultimo effetto determinato dal positivo abbrivio prodotto dalla capacità di sintesi del Coordinamento fu il cosiddetto “Decreto De Mita”, allora Ministro dell'Industria, pubblicato il 20 aprile 1974, in materia di orari, che introdusse la turnazioni per le aperture nei giorni festivi, i riposi compensativi e i nuove orari di apertura: tutto nemmeno immaginabile fino a pochi mesi prima.
Le conseguenze negative della rottura dell’unità sindacale, però, non tardarono a farsi sentire.
Compagnie e retisti indipendenti resistevano tenacemente nel dare concreta attuazione alle nuove norme che solo dopo grandi ritardi, mille difficoltà e numerose denunce del CINB cominciarono ad essere applicate.
Vennero anni nei quali il CINB dovette subire plateali tentativi di emarginazione per la sua ostinata determinazione a chiedere il rispetto delle norme e dei diritti dei Gestori in esse contenute.
Una manifestazione emblematica fu il confronto negoziale che a metà degli anni settanta prese avvio con Agip per definire un contratto che fosse corrispondente ai nuovi dettami della Legge, ma che portò, nel 1978, ad una intesa non sottoscritta dal CINB.
LA CISL “ACCOGLIE” I BENZINAI.
Nel frattempo il CINB, grazie anche ad alcuni pronunciamenti della Corte d'Appello di Torino (1977), stabilì prima un "patto" con la Cisl di Torino poi con direttamente con la Confederazione a livello nazionale. A Gennaio 1978 i gestori del CINB entrano ufficialmente a far parte della Federenergia, la Federazione della Cisl che organizzava i lavoratori del petrolio, del gas e dell'acqua.
Nell'autunno 1978 si tenne il primo Congresso del "settore benzinai" della Federenergia. Anche questa, a suo modo, fu una rivoluzione. Per la prima volta un Sindacato di lavoratori dipendenti -malgrado qualche diffidenza e resistenza- accetta di organizzare una categoria del "lavoro autonomo", per dare risposte ad un ragionamento politico più complesso e ad un'intuizione ambiziosa: organizzare il lavoro nel ciclo del petrolio in ogni sua fase, dall'estrazione del greggio fino alla distribuzione finale del prodotto.
Non fu facile per i Gestori conquistarsi uno spazio e così come non fu semplice per le altre due organizzazioni e per le compagnie petrolifere accettare questa nuova realtà. La domanda più ricorrente era: "che ci fanno dei commercianti all'interno di un Sindacato di dipendenti?" Con ciò, essenzialmente, tentando di rimuovere o minimizzare l'intuizione politica che aveva reso possibile questa "anomalia".
All'inizio fu solo ostracismo condito in tutte le salse, finanche con riunioni ministeriali separate.
Poi arrivò l'Accordo della fine del 1981 sulla "sorveglianza del prezzo amministrato del gasolio" che portò con sé il provvedimento attraverso il quale veniva istituita la "commissione interprofessionale", vale a dire quella commissione paritetica che aveva il compito di definire i margini dei Gestori perché fossero pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale.
E’ sempre il 1981, quando la Cisl decise l'accorpamento della Federenergia e della Federechimici nella FLERICA, una federazione ancora più grande ma nella quale, perciò, era obiettivamente difficile far emergere con forza i problemi dei Gestori.
IL DIFFICILE AVVIO DELLA PRIMA STAGIONE DI “CONTRATTAZIONE”.
Malgrado ciò furono ottenuti alcuni ulteriori risultati con la sottoscrizione del primo “accordo interprofessionale" nell'ottobre del 1982 e quello sui cali del 1984.
Il ricorso al TAR avanzato da una compagnia petrolifera contro la modulazione delle fasce -malgrado il nulla di fatto finale- produsse una situazione particolarmente critica che faceva emergere, ancora una volta, l’innata avversione delle compagnie a ricercare in sede negoziale con la rappresentanza dei Gestori un punto di equilibrio che tenesse nel giusto conto anche il ruolo della categoria.
Dall’85 all’87 riuscimmo a fare accordi solo con Agip, Texaco e Fina.
Il 1988 segno l’avvio di una importante inversione di tendenza che portò, nel tempo, alle intese per la definizione del pagamento differito, del Cipreg, del Fondo Indennizzi, della camera della professione, delle profonde innovazioni contrattuali sui canoni di locazione e sugli oneri di accoglienza.
Nel frattempo, anno 1990, nello scetticismo delle altre componenti sindacali e dopo una serie di dure iniziative sindacali, il Governo Andreotti accolse per la prima volta la richiesta di riconoscere alla categoria il bonus fiscale.
E’ in questi anni che un numero crescente di Gestori matura la coscienza che la sua forza, la possibilità di rivendicare i propri diritti passa attraverso il concetto di categoria e la diretta partecipazione alla vita attiva dell'Organizzazione.
Pur tra mille difficoltà, buona parte degli anni ’90 hanno rappresentato la fase più stabile e più prolifica per l’intero settore, oltreché per i Gestori: fase resa possibile da una sostanziale tregua con l’industria, con la quale fu realizzabile negoziare con costanza e costruire gli equilibri necessari alla collaborazione con i Gestori.
Fu proprio in quegli anni che i Gestori iscritti alla Flerica ottennero dalla CISL un riconoscimento di valore assoluto: la possibilità di costituire la FEGICA che, quindi, collocata prima all'interno del CLACS e poi della neo costituita Felsa, la federazione che attualmente riunisce le differenti e variegate forme del lavoro autonomo, conquista una sua totale autonomia.
E’ il 3 giugno 1993. Quei Gestori dei primi pioneristici sindacati autonomi che avevano dato vita al CINB si ritrovano, tutti, all'interno della FEGICA per tentare di far fare un nuovo salto di qualità alla loro storia e per dare nuove risposte ad una realtà che si va rapidamente trasformando.
Senza troppa enfasi e senza alcuna volontà di rimarcare inutili primogeniture, possiamo però rivendicare il fatto che noi ci siamo sempre stati, lungo tutte quelle fasi che hanno mutato geneticamente e in positivo il ruolo del Gestore, della categoria e dei rapporti all’interno del settore.
Possiamo rivendicare con orgoglio la passione, il coraggio, l’assoluta indipendenza, di cui è permeato il complesso della nostra capacità di analisi, di prefigurazione degli scenari futuri e possibili e, infine, di iniziativa sindacale e politica.
E’ grazie a questa antica storia, al senso della coerenza e della continuità, oltre al carattere che la distingue, che la FEGICA, fin dalla sua costituzione, si afferma per la sua capacità di farsi promotrice di una proposta originale ed efficace e si distingue per la competenza delle delegazioni che la rappresentano ai tavoli negoziali e per la garanzia che offre all’intero settore di saper assicurare, allo stesso tempo, determinazione e lealtà.
Tutto questo si traduce anche in una crescita della FEGICA sia in termini di consenso nella categoria che di rafforzamento della struttura organizzativa: un patrimonio che sarà messo a disposizione della categoria proprio nel lungo periodo che, a partire dalla fine degli anni ’90, metterà il Gestore, la sua stessa sopravvivenza, al centro di un forsennato attacco concentrico, fuori e dentro il settore.
IL CONTESTO “GLOBALE” TRAVOLGE IL SETTORE.
Sono quegli gli anni in cui il Mondo -non certamente solo l’Italia e il nostro settore- fuori dai vecchi “equilibri” dei blocchi contrapposti, sta per essere travolto, senza esserne preparato, dall’ebbrezza della globalizzazione dei mercati e dalla mela lucente ma avvelenata che promette l’impossibile dietro il falso assioma che “il mercato si regola da solo”.
In realtà, il prolungato “sonno della Politica”, il progressivo allentamento del controllo democratico sulle dinamiche economiche e sociali, in combinazione con un fatale e gravissimo degrado della classe dirigente nel suo complesso (e non solo del nostro Paese), ha creato ad arte i “vuoti” che alcuni soggetti avevano i mezzi e sapevano già (o avrebbero imparato velocemente) come riempire e sfruttare.
Un “banchetto” al quale, almeno all’inizio, non ha partecipato solo la “finanza”, come si dice oggi, ma che la “finanza” ha saputo e potuto meglio mettere a profitto, inserendosi -anzi, essendo accolta volentieri- all’interno di ogni altro soggetto (politica appunto, industria, banche) per meglio poterlo spolpare e, soprattutto, controllarne e dirigerne le funzioni.
E’ questo il contesto nel quale concetti/contenitore vuoti come “liberalizzazione”, “apertura dei mercati”, “competitività”, “modernizzazione” -che in sé sono giustamente capaci di evocare scenari e prospettive di libertà, autonomia e sviluppo- sono stati utilizzati a piene mani prima come cavalli di Troia per inoculare metastasi paralizzanti negli snodi vitali e poi impugnati come manganelli per piegare -abbattere o ricondurre alla “ragione”- uno ad uno ogni soggetto si parasse, fosse pure involontariamente, sulla strada della realizzazione di quegli stessi interessi predominanti e, ormai, senza alcun controllo efficace.
In fondo, per tornare al nostro particolare, è questo il “peccato originale” della nostra categoria: quello di essersi trovati, come un albero, lungo il tracciato di una autostrada che altri, con cinica protervia e miope arroganza, hanno tracciato in laboratorio per ottenere esclusivamente il proprio privato tornaconto e senza chiedersi cosa e chi avrebbe travolto.
Una categoria, però, che ha nel frattempo acquisito, come abbiamo visto, una maturità ed una capacità organizzativa tale da consentirgli una difesa efficace, malgrado la evidente differenza di forze in campo.
Un vantaggio per certi versi dilapidato nel corso degli anni per la sempre crescente sensibilità dimostrata da parte del panorama sindacale verso i rispettivi “richiami all’appartenenza politica” che mettono in crisi il Coordinamento Nazionale Unitario a cui si devono i tanti risultati ottenuti in precedenza.
In effetti, l’effetto peggiore che ottiene una tale situazione è il ritardo causato nel processo di informazione e di piena consapevolezza della categoria, a cui viene per certi versi nascosta la portata essenziale della posta in gioco.
Il primo tentativo di demolizione della categoria viene incardinato, alla fine del 1997, dal capo dell'Ufficio legislativo del Ministero dell'Industria del primo Governo di centro sinistra che, in nome della “liberalizzazione”, tenta di fare quello che tutti i Governi precedenti non avevano neanche avuto il coraggio di pensare: riconsegnare la categoria nelle mani dell'industria petrolifera.
Dopo una dura manifestazione sindacale -per la prima volta dopo almeno 5 anni portata avanti non unitariamente- viene varato, però, il Decreto Legislativo 32/98 che, nonostante tutto, precisa nuovamente il ruolo dei Gestori e la funzione della contrattazione collettiva per la regolazione del rapporto con le compagnie.
Così accanto allo storico passaggio da concessione ad autorizzazione (limitato alla sola rete ordinaria), il cosiddetto Decreto Bersani valorizza e inserisce nelle premesse l’Accordo Interprofessionale del 29.7.1997 e fissa alcuni elementi cardine sui quali, ancora oggi, la categoria in generale ed i singoli Gestori possono basare i loro migliori elementi di difesa e di tutela: validità erga omnes degli accordi raggiunti con le compagnie e con le rappresentanze dei retisti; durata 6+6 anni dei contratti con la necessità di dare adeguata “motivazione” all’eventuale disdetta di mezzo periodo; istituzione della Camera della Professione, una sorta di "tentativo obbligatorio di conciliazione" ante litteram, che sarà introdotto successivamente con la modifica dell'articolo 410 del codice di procedura civile; conferma della gratuità assoluta per l’affidamento delle attrezzature destinate alla distribuzione carburanti.
Ma ormai l’offensiva contro i Gestori -per anni accusati strumentalmente di essere, di volta in volta, una “potente lobby”, titolari di “ingenti rendite di posizione”, un “freno alla modernizzazione del Paese”, ecc.- era stata avviata e tutti i mezzi sono buoni.
Nell’autunno del 1999, la prima istruttoria dell’Antitrust, a caccia del “cartello dei petrolieri”, individua negli accordi collettivi dei Gestori e nella contrattazione più in generale lo strumento utilizzato dalle compagnie per l’accordo orizzontale sui prezzi.
Una tesi che portò, l’anno dopo, alla famosa condanna miliardaria di tutte le compagnie petrolifere, poi ribaltata in sede di Consiglio di Stato.
I PETROLIERI IMPARANO AD USARE LE “GONNE” DELL’ANTITRUST.
Di fatto le aziende ne uscirono tutte indenni. Una sola vittima rimase sul campo: la contrattazione che regolava i rapporti tra aziende e i Gestori.
I petrolieri, utilizzando strumentalmente proprio le tesi sostenute dall’Antitrust e battute in appello, si rifiutarono per quasi 4 anni di mettersi sedute a qualsiasi tavolo di negoziazione, ritenendosi con ciò legittimate ad inasprire ogni tipo di rapporto con il singolo Gestore, sia sotto il profilo contrattuale, con il fiorire delle più fantasiose clausole risolutive, sia sotto quello economico, con il blocco dei margini ed il trasferimento di ogni tipo di onere.
Ci vollero anni di lotte, due leggi dello Stato -la legge 496/99, che impedisce i contratti di commissione ed estende il “non oil” per i Gestori ad alimentari (tranne somministrazione) e non alimentari, e la legge 57/01, che rende obbligatoria gli Accordi collettivi di colore per regolare i rapporti economico-normativi tra azienda e Gestore e autorizza anche alla somministrazione- ed un più che paziente lavoro di ricucitura, per ritornare a sottoscrivere nel luglio 2002 il primo Accordo con Agip per la rete autostradale e con Esso prima ed Erg dopo per la rete ordinaria che diedero l’avvio ad una nuova tornata di negoziazioni.
Negoziazioni sulla cui qualità e produttività, però, cominciano a gravare pesantemente le trasformazioni in atto a livello “globale” delle grandi multinazionali del petrolio con una serie significativa di scomposizioni e ricomposizioni che accompagnano una riorganizzazione profonda dell’industria che opera in Italia: le grandi aziende petrolifere che eravamo abituati a conoscere vengono ridotte al livello di divisioni operative, i cui centri decisionali sono collocati in altre parti del Continente.
Non si tratta solo dell’assenza “fisica” di un interlocutore in grado di decidere (e non esclusivamente di eseguire) ma anche della difficoltà quasi insuperabile di arrivare a quei centri decisionali sparsi per l’Europa e di far loro intendere -di tradurre da ogni punto di vista- meccanismi, dinamiche, realtà, legislazioni, relazioni tipicamente italiani.
E se ciò è vero per le multinazionali estere, il colpo che si rivelerà dirompente per tutto il settore sarà la “divisionalizzazione” dell’AgipPetroli, leader dominante e incontrastato del mercato.
Dopo la “privatizzazione” -altro concetto/contenitore di cui si è fatto largo abuso- ed il suo successivo e conseguente processo di “finanziarizzazione”, Eni sceglie di assorbire l’azienda più importante, produttiva e conosciuta a livello internazionale del Gruppo -appunto l’AgipPetroli- con ciò realizzando una sorta di “nemesi storica”, “vendetta politica” contro quella compagnia che per decenni si era resa inaccessibile e pressoché autonoma dalla capofila, tanto da oscurarne totalmente l’immagine stessa in Italia e all’estero.
I PARADOSSI LETALI PER IL SETTORE.
La trasformazione da AgipPetroli in Eni Refining & Marketing -le cui ragioni recondite e prospettive la FEGICA, spesso in completa solitudine, ha denunciato prima, durante e dopo la sua realizzazione- consegna al settore il primo paradosso irrisolvibile e letale: la distribuzione carburanti in Italia diventa l’unico mercato al mondo nel quale il leader assoluto è completamente disinteressato al settore stesso.
La divisione operativa neocostituita, infatti, vale abbondantemente meno del 10% del fatturato della “corporate”, come non si stanca mai di ricordare l’Amministratore Delegato, e offre una remunerazione del capitale investito sensibilmente inferiore rispetto a quella “garantita” dalla speculazione finanziaria, dal mercato del gas -protetto da una posizione monopolistica intangibile, retaggio dell’antica azienda “pubblica”- e dall’attività di cosiddetto “upstream”, vale a dire di ricerca, perforazione ed estrazione della materia prima.
A condizioni date gli investimenti sulla rete (ma anche sul segmento della raffinazione) vengono sistematicamente tagliati e gli “spazi” anche solo operativi della divisione continuano inesorabilmente ad essere erosi tanto da convincere il cosiddetto management a ficcarsi nell’unico strettissimo sentiero (senza ritorno) che intravede, realizzando, con ciò, il secondo paradosso irrisolvibile e letale: la distribuzione carburanti in Italia diventa l’unico mercato al mondo nel quale il leader assoluto e dominante scatena la guerra dei prezzi e dei sconti “percepiti”.
IL MERCATO DEI CARBURANTI DIVENTA UNA “CITTA’ APERTA”.
Quale prospettiva può avere o cercare di darsi un settore ed un mercato il cui soggetto principale è in queste condizioni e si trascina dietro tutti gli altri?
Non appare certamente casuale, in questo contesto, che il settore, oltreché il mercato, diventi facile preda di qualsiasi tipo di attacco, per un verso, o di appetito, dall’altro.
L’accerchiamento di un settore allo sbando e senza la guida di un’industria allo sbando, imbelle e senza strategia si realizza sotto numerose forme: le indagini e le istruttorie dell’Antitrust italiana e della Commissione Europea; i salassi richiesti da Governo e Parlamento, dalle accise sui carburanti alla Robin Tax; le campagne di stampa, oltre agli attacchi sistematici delle associazioni dei consumatori e della Grande Distribuzione Organizzata.
L’assalto ai “dividendi” della distribuzione carburanti diventa un gioco da ragazzi per chiunque tenti anche solo un timido approccio.
La solita Grande Distribuzione Organizzata, ma anche i piccoli titolari di “pompe bianche”, i retisti convenzionati, i concessionari autostradali trovano praterie messe generosamente a disposizione dalle aziende petrolifere, grazie a politiche semplicemente autodistruttive e alla folle gestione del “canale extrarete”.
Chi -tra i vecchi dirigenti della temuta e potente industria che fu- avrebbe mai potuto prevedere che le “politiche” delle aziende di oggi sarebbero state già scritte e obbligate dai “dispettucci” e dalle “piccole vendette” dei bui “ufficetti” dell’extrarete degli anni ’80, confinati nei sottoscala, con i quali le compagnie di allora si contendevano, nell’indifferenza più totale, il mercato residuale dei “combustibilisti”?
SINDACATO E CATEGORIA MESSI NEL MIRINO.
E’ in questo ambiente così deteriorato che maturano le condizioni per un nuovo salto di qualità nell’aggressione alla categoria.
Tra la fine del 2006 e l’inizio del 2007, si va affermando, senza incontrare particolari resistenze, una posizione per un certo periodo rimasta “dormiente” che percorre trasversalmente le aziende petrolifere -Eni in testa- e che morde il freno per liberarsi dei Gestori o, almeno, della loro capacità organizzativa che si traduce nell’azione del Sindacato.
La rarefazione quando non l’indisponibilità più o meno manifesta delle aziende alla negoziazione ed al rinnovo delle Intese scadute appare solo la parte più evidente di una tale posizione.
Con un sempre maggiore interesse della comunicazione alla dinamica dei prezzi dei carburanti, per alleggerire la pressione su di loro le parti più retrive dell’industria provano ad offrire alla politica e all’Antitrust proprio la “testa” dei Gestori, scaricando su di essi tutte le ragioni di inefficienze che, al contrario, erano e sono ben individuabili altrove e visibili ad occhi anche solo poco meno che distratti.
In questo, diventa sempre più presente e influente l’appoggio dei retisti indipendenti, che proprio in questi anni e nelle condizioni prima descritte riescono a beneficiare di vantaggi economici tanto facili quanto straordinari.
Tutto il 2007 ruota intorno alla “lenzuolata” del Ministro Bersani che ripropone una nuova liberalizzazione dei carburanti e all’ennesima istruttoria Antitrust che si concluderà con una sorta di patteggiamento: le compagnie offrono “impegni” in cambio della chiusura del procedimento a loro carico. Così nasce, ad esempio, “iperself” di Eni che l’allora Direttore Generale della divisione R&M presenterà, con una sincerità disarmante, come la “riappropriazione degli impianti dalle mani dei Gestori per 16 ore al giorno”.
Malgrado lo straordinario sforzo teso a informare i cittadini e la politica operato dalla FEGICA, in un panorama sindacale pressoché disgregato, riesca ad ottenere insperati successi parlamentari, le conseguenze sono disastrose: da una parte, sulla scorta delle iniziative del market leader, la marginalità industriale viene dilapidata dalla guerra degli sconti (più che dei prezzi) spesso manifestamente fuorvianti e i cui oneri vengono di fatto scaricati sui Gestori; dall’altra, la forbice dei prezzi tra rete ed extrarete raggiunge valori tanto elevati, quanto immotivati.
A cosa sono servite lenzuolate e istruttorie? I prezzi sulla rete di marchio -vale a dire oltre il 90%- continuano a crescere sotto la pressione delle compagnie petrolifere che pagano sia la completa assenza di politiche commerciali di prospettiva che i disastri prodotti in extrarete; i volumi di vendita proseguono inesorabilmente a spostarsi verso le “pompe bianche” e la GDO che ringraziano dei vantaggi competitivi loro regalati proprio dai petrolieri; il numero degli impianti, anziché diminuire, continua a crescere proprio per le condizioni di mercato generate; il valore degli asset industriali, cioè gli impianti di proprietà delle compagnie, crolla rapidamente; gli investimenti, anche solo quelli legati alla manutenzione, vengono praticamente azzerati; i Gestori vengono lasciati soli, mani e piedi legati, a combattere una guerra sanguinosa, inutile e dai contorni assurdi, anche per le stesse compagnie.
Gli unici a beneficiarne sono certi “manager” cui le macerie prodotte continuano a valere, inopinatamente e come nelle più tipiche storie italiane, un pezzo di carriera e migliori emolumenti.
LA CATEGORIA INVITA IL SETTORE ALL’“AUTORIFORMA”.
Il 2008 si apre con un estremo tentativo delle organizzazioni di categoria dei Gestori, di nuovo unite dalla drammaticità degli scenari che si aprono, di riaprire un confronto aperto con tutte le componenti del settore e definire le direttrici lungo le quali provare a dare corpo ad una autoriforma del settore: il 15 gennaio, su invito di Faib, Fegica e Figisc, si siedono intorno al tavolo di un “workshop” tutti gli Amministratori Delegati delle aziende, i rappresentanti di retisti indipendenti, i massimi responsabili delle società concessionarie autostradali.
Malgrado il progetto illustrato unitariamente dalle organizzazioni -evoluzione de “Il Futuro Possibile” elaborato e presentato ad una platea simile dalla FEGICA già a novembre 2006- riscuota unanime riconoscimento, il tentativo abortisce sul nascere per le preoccupazioni -in vero, in forte odore di strumentalizzazione, come nel 2000- che le aziende mantengono sui possibili interventi sanzionatori dell’Antitrust.
La storia si ripete e si ripeterà fino ai nostri giorni. L’Antitrust da “castigamatti” dei petrolieri, diventa la migliore “alleata” delle compagnie -c’è da ritenere inconsapevolmente- quando diventa utile sottrarsi alle responsabilità e a qualsiasi tipo di confronto rischi di determinare risultati ritenuti pregiudizialmente sgraditi.
LA FEGICA BARRIERA DA ABBATTERE PER ARRIVARE AI GESTORI.
Non c’è dubbio che la FEGICA aveva, da tempo, saputo guadagnarsi sul campo se non le “simpatie”, alle quali non ha mai aspirato, il riconoscimento sulla competenza e la professionalità della sua azione che le era valso un ruolo centrale nelle relazioni industriali, messo a disposizione di una azione coerente e determinata a tutela della categoria, pur all’interno di una visione equilibrata e di “sistema”.
Allo stesso modo, è risultato chiaro a quanti nell’industria si erano posti l‘obiettivo di neutralizzare il ruolo che la categoria aveva saputo conquistarsi, pur tra mille contraddizioni, che fosse essenziale passare proprio per l’isolamento prima e l’annientamento dopo della FEGICA e del suo gruppo dirigente.
L’apice di una tale scelta strategica viene toccato nel luglio 2009, in particolare con la sottoscrizione di un Accordo per i Gestori della rete ordinaria di Eni R&M dal quale la FEGICA viene scientemente esclusa, malgrado avesse, come sempre, partecipato più che attivamente alla costruzione e alla definizione di parte consistente di quella intesa.
Ad eccezione, come si ricorderà, della parte che autorizzava Eni R&M ha inserire nei contratti di gestione una clausola di recesso collegata a traguardi quantitativi e qualitativi, di fatto unilateralmente fissati dalla stessa azienda.
E’ passato tempo sufficiente da aver già fatto perdere la memoria di quegli avvenimenti a molti, ma la “ferita”, per le motivazioni e le modalità utilizzate, è ancora tanto aperta che vale la pena mettere ulteriore tempo prima di ritornare sulle ricostruzioni “storiche” di tutti i passaggi di quei momenti.
Quel che però non può non essere sottolineato subito -a dimostrazione della fondatezza delle preoccupazioni che la FEGICA aveva per tempo denunciato- è come siano state proprio le altre organizzazioni firmatarie di quell’Accordo a dover “disdettare” l’applicabilità della clausola di recesso a causa dei comportamenti successivamente tenuti dall’azienda, ritenuti largamente inadempienti.
Né si può affermare, per altro verso, che Eni R&M sia stata capace di utilizzare al meglio il nuovo strumento in questo modo ottenuto e che l’aveva spinta a far presentare dall’Amministratore Delegato della corporate in persona l’”accordo epocale”.
Quello che con certezza monolitica era stato detto avrebbe inevitabilmente portato più “flessibilità contrattuale” e quindi più “velocità di risposta”, più “competitività”, più “produttività” si è tradotto nei risultati commerciali rovinosi del 2010 e del 2011: segno evidente che le responsabilità delle inefficienze non potevano (e non possono) essere scaricate, tout court, né sulla pretesa rigidità dei precedenti contratti, né sull’incapacità dei Gestori.
Il danno prodotto da quegli eventi e dalle conseguenze successive -che la FEGICA, da sola, non è stata in grado di impedire- è stato dirompente e continua a produrre drammaticamente i suoi effetti verso e contro i Gestori Eni e non, come avevamo facilmente previsto.
Senza troppa enfasi, va detto che “mandanti” e “sicari” hanno fallito nel compito che si erano prefissi di eliminare la FEGICA, per poter battere una volta per tutte il concetto stesso di categoria ed arrivare a disporre del destino dei Gestori senza impedimenti.
Siamo ancora qua.
Con la competenza, la professionalità e la determinazione che pure ci viene riconosciuta anche dai nostri più irriducibili detrattori, abbiamo pazientemente saputo ricucire una trama sfilacciata che ha portato di nuovo la categoria, in condizioni drammatiche e difficilissime, ad ottenere una rinnovata credibilità fuori del settore (mezzi di comunicazione, politica, consumatori) e a rintuzzare una lunga serie di “match point” con i quali petrolieri e retisti hanno pensato di poter chiudere definitivamente la partita con i Gestori.
La palla è ancora in gioco e l’esito dell’incontro, come hanno dimostrato tutte le più recenti vicende, non è affatto scontato.
La FEGICA continuerà, com’è nella natura del suo gruppo dirigente, a ricercare ed esplorare ogni pur piccolo spazio di confronto e di negoziato con chiunque, senza pregiudizi, per restituire al settore nuovi equilibri e nuove prospettive di sviluppo, all’interno dei quali ciascun soggetto possa legittimamente candidarsi a ricercare la soddisfazione dei propri interessi.
Ma nessuno può pensare di ottenere una risposta positiva dalla FEGICA alla domanda di farsi complice della eliminazione della categoria e dell’umiliazione dei Gestori.
Ad ogni ulteriore tentativo che vada in questo senso, la FEGICA, come ha dimostrato inequivocabilmente di essere capace di fare, saprà rispondere senza esitazioni e con ogni mezzo a sua disposizione.
Siamo liberi, passionali, coraggiosi: non è molto, ma è quanto basta.